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I differenti punti di vista del Brasile

20/08/2016

Il taxi sfreccia veloce verso l'aeroporto mentre la città si accende poco a poco come fosse fatta da tante lampadine. Passiamo di fianco a Rocinha, poi me la trovo di fronte a ricoprire la montagna: é immensa e bellissima tutta illuminata. Se non sapessi, se non ci fossi entrata, se non avessi ascoltato, partirei così, con un'istantanea da gran copertina di un posto che bellissimo proprio non é. Una contraddizione.

Così come questa strana missione e la città che l'ha ospitata...contraddittorie.

In questi giorni di domande ce ne siamo fatte tutti, perché é inevitabile quando vivi per tre settimane in una città coi riflettori accesi sulle olimpiadi, ma poi ti accorgi che quel mondo lì, quel livello lì, quelle possibilità lì sono lontane anni luce dalla realtà della gente comune. Di domande te ne fai se la mattina assapori il gusto dolceamaro fatto dalla bellezza di stare coi bambini delle favelas, del farli giocare, vederli scatenarsi e urlare ad ogni gioco finito con una vittoria, sentirsi le loro braccia al collo come se fossi con loro da una vita. poi arriva il retrogusto amarognolo, perché scopri e vedi cose: ti raccontano che Miriam, come tanti altri, vive con la sua famiglia in un posto infestato dai coccodrilli e che per prendere l'acqua deve essere più veloce per non farsi azzannare...gran bel gioco, se lo fosse. E come se non bastasse, la notte é un continuo sparare per le strade. É un dettaglio che il governo li abbia cacciati lì dopo avergli espropriato le loro vecchie case? E il sapore si fa ancora più amaro quando coi tuoi occhi,dal tetto del centro dove si fa attività,vedi un cecchino della polizia sparare con un fucile verso la strada. Normalità. Fai un giro nella favela, attraversi pertugi che dovrebbero essere strade su cui si aprono porte, ma non c'è neanche lo spazio per passare; "vedi" l'odore della fogna a cielo aperto; sentì la paura di chi lì dentro non ci vuole entrare; immagini cosa si possa scatenare la notte. Tutta normalità.

Poi nel tardo pomeriggio sei a casa Italia, casa Qatar, ad una conferenza promossa dall'Unicef, conosci campioni, fai foto, tocchi qualche medaglia, ti si illuminano gli occhi, sogni, racconti e spieghi il progetto, cerchi di far capire, conosci persone che si interessano a quello che facciamo, intrecci relazioni che portano ad accordi, nascono promesse attorno ad un tavolo mentre da un maxi schermo vinciamo medaglie. Tutto bellissimo, come le luci di Rocinha la sera.

Poi prima di dormire arriva il colpo allo stomaco insieme alle domande che devi farti: cosa dirai domani a Miriam? Che la sera prima mentre lei giocava a schivare coccodrilli tu vivevi in una dimensione parallela fatta da riflettori, medaglie, parole?! Cosa dirai al bambino che dopo lo sparo del cecchino ti ha abbracciata come a proteggerti e ti ha chiesto se avevi paura?

In 5 anni per me, per noi, non c'è mai stata scelta, non ci sono state " mattine" né "pomeriggi" né " sere": c'è stata semplicemente la missione , fatta da una realtà sola, senza scelta, in ogni momento del giorno.

Qui in queste tre settimane abbiamo vissuto a fatica, con un piede in paradiso e l'altro all'inferno e tutto questo ci ha sfiancati e devastati. Guardandoci in faccia, senza parole abbiamo sempre saputo che non solo l'altro piede, ma tutto il resto del corpo l'avremmo gettato tra le fiamme dell'inferno e tra le fauci dei coccodrilli, potendo. Ma come sempre, come tutto, la medaglia ha le sue due facce: abbiamo scelto tutti consapevolmente che a questo giro la nostra missione doveva essere fatta anche di paradiso con le sue relazioni e le sue promesse, di servizio, di disponibilità e pugni dritti allo stomaco, di rinunce ad essere volontari fino in fondo per vestirci anche con gli abiti degli ambasciatori anche se nel profondo fa male, senti che ti manca qualcosa e il tuo lavoro sembra lasciato a metà. Tutti e 6 abbiamo scelto l'altra faccia della medaglia, quella che il volontario sente meno sua, ma senza la quale non ci sarebbero ori, argenti o bronzi, non ci sarebbe niente. Abbiamo sacrificato il nostro essere volontari per qualcosa di più grande...per poter continuare a garantire alle Miriam in giro per il mondo di poter giocare davvero, ancora per un po', senza doverlo fare scappando dai coccodrilli.

E a quel bambino ho risposto che no, non avevo paura perché non ne aveva lui. Mi ha sorriso mentre mi stringeva più forte. E la medaglia si gira...

Valentina Piazza

 

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